Masterclass con Marco D’Amore
In occasione della prossima uscita in sala del suo film “Caracas” l’attore, regista e sceneggiatore Marco D’Amore è stato ospite in IULM, il 6 febbraio, per una Masterclass.
Marco D’Amore, tra i protagonisti di Gomorra – una delle serie tv italiane di maggior successo al mondo – è stato ospite in IULM martedì 6 febbraio alle ore 18, in Auditorium, per una Masterclass sul tema “Caracas – Dalla pagina allo schermo. Le tre fasi creative per la realizzazione di un film”. L’attore e regista casertano sarà infatti presto al cinema con la sua nuova opera, tratta da un romanzo di Ermanno Rea, che racconta il rapporto tra lo scrittore napoletano Giordano (Toni Servillo) e Caracas (Marco D’Amore), uomo di estrema destra e prossimo alla conversione all’Islam. Per l’occasione, l’attore ha dialogato con il Rettore Prof. Gianni Canova, che ha definito Caracas “un film sorprendente, in cui troverete un Marco D’Amore diverso da come ve lo aspettare, che sfida le convenzioni e le aspettative dei propri fan”.
“Non lo nego, sono qui perché voglio che il 29 febbraio andiate a vedere il film – ha esordito Marco D’Amore. Io sono stato cresciuto ed educato a elevare a una condizione importantissima il mio mestiere, per cui fatico e soffro nell’accettare un certo pregiudizio rispetto a quello che facciamo. E poi credo molto a questo racconto, perché mi sono imbattuto in questa storia di Ermanno Rea e ho sentito che aveva la dignità per essere raccontata. Nel 2007 Ermanno Rea scrive Napoli Ferrovia, che lui definisce ‘diario cronaca’. Un grandissimo scrittore napoletano cresciuto in seno a una classe di intellettuali napoletani, che a un certo punto si è imposto un esilio di quarant’anni dalla città. Quando torna, sul finire della propria carriera, inspiegabilmente si imbatte in questo essere umano che risponde al nome di Caracas: un ragazzo che ha maturato un’ideologia di estrema destra, che è cresciuto in ambienti di estrema destra, che ha accettato questa ideologia quasi per dare un rigore alla propria esistenza, in contrapposizione al caos del quartiere in cui vive: quello del Vasto, alle spalle della Stazione Centrale, che oggi è un coacervo di culture e di povertà. Lui, muovendosi tra questi ultimi, trova però asilo in quella povertà, tra coloro che non hanno nulla e che riconoscono in lui un paladino.”
Sulla chiave di lettura (e di scrittura) del film, D’Amore ha spiegato: “Ermanno Rea, in una fase della sua vita di riscoperta della propria città, si imbatte allora in quest’uomo in cui agiscono due poli opposti. E insieme a Caracas compie non solo un percorso di recupero della memoria, ma si avvicina e si allontana continuamente da questo essere umano, lo ama e lo odia, ponendo un terreno fertilissimo per chi vuole scrivere una storia. La sostanza di Caracas è già avvenuta (la sua scelta, il suo amore sono passati) e per questo anch’io ho fatto fatica a trovare una narrativa. Finché sul finale del romanzo Rea scrive: ‘Non so se la storia e il personaggio che ho raccontato esistano realmente’. Questa messa in discussione della storia, alla fine, sulla veridicità del fatto, ha offerto a me e a Francesco la chiave per aprire la porta sul vicolo in cui avremmo ambientato il film, e ci ha fatto scrivere un film che costringe continuamente lo spettatore a porsi delle domande, mettendolo nella condizione di dover completare il percorso.”
“Quando Gianni (Canova, ndr) mi ha chiesto perché il film si apre con una scena aerea, io gli ho risposto che non volevo che il film cominciasse coi piedi per terra, volevo stare sospeso, subito in una dimensione che non è quella del reale. La maggior parte dei paracadutisti nella scena apre il paracadute a un’altezza di sicurezza. E tra loro c’è poi Caracas, che invece lo apre appena un secondo prima che sia troppo tardi. Questo ha molto a che fare anche col mio percorso: nonostante il successo ottenuto con Gomorra, io mi sono detto che dovevo rischiare, che dovevo ‘aprire al limite’. Per me questo è Caracas, e ovviamente questo limite ha in sé un pericolo altissimo; però nell’attimo in cui si rischia, in quel momento di adrenalina massima, puoi sentire di essere padrone di quello che stai facendo.”
Infine, anche una considerazione sulla modalità di produzione e fruizione non solo di questo film, ma del cinema in generale: “C’è una cosa in cui credo profondamente: è la complessità delle cose. Credo nelle cose per cui c’è bisogno di tempo, che non sono alla portata, non sono semplici da afferrare. Questa è una paura che io come artista e spettatore soffro, perché oggi è tutto troppo prestabilito, formattato. Oggi si sa già che un film è decisamente raccontabile a quella fetta di pubblico. La prima cosa che ci domandano quando presentiamo un film è: “Qual è il suo target?”. Io però sono cresciuto andando al cinema con un pubblico molto diverso. E allora mi viene da dire che Caracas è un film per tutti quegli esseri umani che hanno il desiderio di fermarsi per due ore davanti a un’opera, e sentire che gli batte il cuore e l’intestino. Per questo si fanno le cose. La letteratura, il cinema, il teatro non sono questo? Il regalo, da parte di altri che sono distanti, dei loro desideri. E poi, perché dobbiamo capire tutto? E soprattutto perché capire tutto con la testa? Quindi da parte mia ci dev’essere lo sforzo di non assecondare il desiderio di chi vuole che tutto sia programmato, ma da parte vostra di voler fruire di un racconto che non fa della sola comprensione il suo fulcro.”
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